Premessa: Questo post esprime esclusivamente un punto di vista
Forse avrete letto, sentito, visto il monologo di Paola Cortellesi durante la prima puntata dello show “Laura e Paola”.
Sarò onesto: io l’ho scoperto via facebook e visto su YouTube.
Non ho la tv e non l’ho mai voluta, soprattutto disdegno le trasmissioni tv, ma il tema mi ha incuriosito, anche perché riguarda anche la mia infanzia.
Paola comincia il suo racconto: “Mi chiamo Giancarlo Catino e credo nell’amicizia. Ho 6 anni”
E’ un momento difficile: l’ingresso a scuola, il bisogno di amici, di un gruppo e l’impatto con una realtà che si fatica a capire, soprattutto chi è timido, riservato, o, forse, solo pieno di speranze. Arrivano quindi i soprannomi, le prese in giro, ma si accetta tutto per “far gruppo”, un gruppo però di cui tu non fai parte.
Crescendo arriva la botta: l’impatto con la nostra ingegnuità e la sofferenza che ne deriva, un po’ come una montagna che ti crolla addosso e ti trovi sotto un mucchio di sassi che fatichi a sollevare, ferito, ma con la speranza che una mano si avvicini. Una mano che il più delle volte non arriva.
Da piccolo sai che se a scuola prendi le botte, a casa spesso lo devi nascondere, perché alcuni genitori pensano che la colpa sia tua, a volte ti puniscono anche. Non è il caso di “Giancarlo”, che non chiede aiuto per vergogna. A questo punto, nella vita di ogni bambino vittima di bullismo, si aprono diverse strade, opposte tra loro e con conseguenze diverse, alcune secondo me sono queste:
- ci si ribella e alziamo le mani (a seconda di come veniamo scoperti, si passa dalla parte del torto e l’opzione migliore per sopravvivere diventa essere “cattivi”, in altri casi, si viene pestati di più);
- si scappa, in un modo od in un altro, fuori o dentro, ma con lo stesso risultato, ovvero che ci chiudiamo in noi stessi, in una cappa che nessuno può scalfire, dietro mura che nessuno può superare, nascondendo noi stessi e le nostre emozioni lì dentro;
- la realtà è così dura che ci abbatte, soprattutto mentalmente, con conseguenze spesso tragiche.
“Giancarlo” ha pazienza, è “forte”, col perdono supera le difficoltà, in un’età in cui magari gli altri possono capire. Ogni bambino vittima di bullismo, sa che la sua battaglia inizia prima e che sembra così facile a parole, ma senza aiuti è tutta un’altra cosa.
Quindi…bello sì il monologo (musica a parte, non ono un patito di Mengoni), ma la realtà è, alle volte (secondo me sempre), diversa. Non siamo Giancarlo, ma possiamo essere i compagni od i passanti che lo aiutano.
Le chiacchiere son belle, ma VOI potete fare la differenza, abbiate solo il coraggio di reagire e difendere.